martedì 26 gennaio 2010

Una repubblica presidenziale a reti unificate

Dal Sito Antimafia 2000
del 26 gennaio 2010

di Nicola Tranfaglia
(Professore Universitario)


In questa assemblea di tre giorni organizzata ad Acquasparta (Assemblea Nazionale per la difesa della democrazia e della costituzione indetta da Articolo 21) non da alcuni politici di centro-sinistra ma da numerose associazioni che si oppongono da molti anni al degrado dello Stato di diritto, all’attacco che si conduce da anni soprattutto da parte di Berlusconi (ma anche le forze di sinistra hanno fatto negli ultimi vent’anni indubbi errori al riguardo) contro l’istruzione e la ricerca, l’omologazione sempre più diffusa dei mezzi di comunicazione di massa alle direttive della maggioranza berlusconiana, infine all’aggressione alla rete che è ancora in corso.

Possiamo sperare che i mezzi di comunicazione di massa informino i cittadini e parlino adeguatamente di questa assemblea indetta per difendere la costituzione repubblicana e tutte le libertà degli italiani, a cominciare da quella di pensiero, di espressione e di comunicazione?
Direi proprio di no pur dando atto all’Unità e al Fatto Quotidiano di essere stati presenti alla nostra assemblea ma questo non può fermarci.
Noi sappiamo per esperienza civile che soltanto se società civile e società politica si mobiliteranno insieme contro il disegno del governo che si sta realizzando avremo qualche probabilità di ottenere i grandi obbiettivi appena indicati e potremo battere, con strumenti democratici, l’assalto finale contro la repubblica democratica.
Quale è il progetto politico, dobbiamo chiederci ancora, del capo carismatico Silvio Berlusconi, attuale presidente del Consiglio, e della sua ampia maggioranza parlamentare?
L’approvazione a tempi forzati al Senato del cosiddetto “processo breve”, che è passato ora alla Camera per passare dopo le elezioni regionali anche al Senato, ha mostrato che il capo della maggioranza ha intenzione di realizzare presto il suo megaprogetto.
La presidente del maggior partito di opposizione (un partito svegliato dopo un anno e mezzo di sonno) ha detto nella sua dichiarazione di voto al Senato parole che pesano come pietre e che vale la pena almeno in parte riportare.
Con questo che approva - ha detto Anna Finocchiaro - la maggioranza approva il diciannovesimo provvedimento dell’era berlusconiana destinato ad incidere su un procedimento penale a carico del premier. Questo significa più cose: che per diciannove volte avete usato il Parlamento, occupandone tempo e risorse pubbliche destinate a leggi generali nell’interesse del Paese, per fini particolari; che, nonostante i vostri sforzi e gli sforzi degli avvocati del premier, non siete stati capaci di trovare soluzione; che la vostra priorità è stata, di governo in governo, innanzitutto l’interesse privato; che non avete avuto timore, a questo fine, di devastare l’ordinamento creando pubblico danno; che non avete mai avuto vergogna.
Ora veniamo al merito: non siete stati capaci di dimostrare che questo provvedimento non avrà effetti negativi, decretando la fine di migliaia di procedimenti penali e quindi denegata giustizia per migliaia di cittadini italiani. Quando avete, nel precedente governo Berlusconi, con la cosiddetta legge Cirielli praticamente dimezzato i tempi di prescrizione della pena, al punto che lo stesso proponente Cirielli di Alleanza Nazionale si dimise dall’incarico di relatore perché non tollerava che quella legge portasse il suo nome, le prescrizioni schizzarono da 200 mila a 850 mila. Ora queste cifre sono destinate ad aumentare. Ma non basta. Nessun imputato avrà più interesse a chiedere i riti alternativi, ogni difensore cercherà in tutti i modi di allungare i tempi del processo, si affievolirà l’effetto della prevenzione generale data dal fatto che chi commette reato saprà di andare incontro a una pena. Il risultato sarà un ulteriore intasamento della giustizia penale.”
Potremmo continuare perché il ministro della Giustizia Alfano, subito dopo l’approvazione, ha incitato la maggioranza ad approvare in maniera definitiva al più presto la legge sulle intercettazioni che avrà due effetti sicuri: la soppressione della cronaca giudiziaria e una forte limitazione delle indagini giudiziarie anche per i più gravi reati su vicende di mafia e di terrorismo.
Nel frattempo la presentazione del decreto legislativo del viceministro Paolo Romani rispetto al quale il parlamento potrà emettere solo un parere non vincolante promuove, con il pretesto di una vaga direttiva europea, una riforma radicale della legislazione sulla tv e la rete.
Con il decreto Romani le trasmissioni sulla rete saranno subordinate all’autorizzazione ministeriale e non saranno più autorizzate se appariranno scomode o non obbedienti delle politiche di governo. Così con un eccesso di delega dall’Unione europea si mette un duro bavaglio alla rete e si toglie il residuo di libertà rimasto agli italiani su Internet, ma tv e giornali non parlano del decreto e se ne accorgono soltanto gli addetti ai lavori. Anche l’opposizione parlamentare tace e il decreto è destinato a diventar legge in men che non si dica con conseguenze devastanti per il già maltrattato articolo 21 della costituzione.
Questa è la situazione generale del dibattito parlamentare che si svolge in un paese nel quale la crisi economica continua a mordere e ad allargare la disoccupazione giovanile e adulta, a mettere in strada decine di migliaia di lavoratori precari, persino nell’azienda Mediaset di Silvio Berlusconi.
E, se ci spostiamo nel settore dell’istruzione e della ricerca, dobbiamo ricordare che siamo nell’ultima coda dell’Europa per la diminuzione delle risorse.
Persino il Consiglio Universitario Nazionale, composto in gran parte di vecchi accademici, ha dovuto sottolineare che il disegno di legge Gemini sull’università non parla mai di risorse e, se queste mancheranno, non sarà possibile attuare nessuna riforma e tanto meno quella presentata dalla giovane ministra dell’Istruzione e dell’Università.
Ormai il disegno complessivo del governo è chiaro, anche solo se si leggono i discorsi e le dichiarazioni del gruppo dirigente berlusconiano: sono urgenti riforme che cambino il dettato costituzionale e trasformino la nostra repubblica parlamentare in un regime presidenziale senza contrappesi né meccanismi di controllo ancora vigenti come il Capo dello Stato, la Corte costituzionale e la magistratura penale (incluso il Consiglio superiore della magistratura).
Chi, sia pure con serenità e cortesia, invoca ancora le “riforme condivise” con l’opposizione come fa il presidente della repubblica Napolitano o, in modo diverso, il presidente della Camera Fini, viene tacciato da disturbatore, e soprattutto non viene per nulla ascoltato.
I vari Cicchitto hanno precisato che le riforme si faranno comunque e, quindi, all’opposizione resta solo la scelta tra approvare o votare contro, ma senza conseguenze apprezzabili.
Di questa situazione sono consapevoli (più che un’opinione ormai ridotta al lumicino, grazie a tv e quotidiani vicini al capo) alcuni politici che hanno sperimentato direttamente i governi Berlusconi come l’ex presidente Oscar Luigi Scalfaro o giuristi come il già presidente della Corte Costituzionale Gustavo Zagrebelsky.
Scalfaro ha sottolineato di recente due aspetti allarmanti e oggi dimenticati:nella XIV legislatura, dal 2001 al 2006: Berlusconi e i suoi seguaci avevano approvato un progetto che attribuiva, in modo esclusivo, lo scioglimento delle Camere al presidente del Consiglio e azzerava la carica del Capo dello Stato.
Si interveniva, insomma, sulla prima parte della costituzione. Ma il 25 e 26 giugno 2006 milioni di italiani bocciarono il progetto (il 60 per cento dei votanti).
Dopo appena quattro anni dal referendum popolare, lo si vuole attuare ad ogni costo.
Questa è la situazione attuale, quantunque televisioni e giornali ne parlino il meno possibile e non mettano in luce il pericolo che abbiamo di fronte.
Vero è che, tra qualche mese, potremo trovarci con l’approvazione parlamentare, sia pure a maggioranza, di una repubblica presidenziale senza controlli e contrappesi, una sorta di regime populistico autoritario che impedirà di fatto sia l’alternanza democratica che qualsiasi forma efficace di opposizione.
E’ altrettanto vero, che un voto a maggioranza renderà possibile il referendum confermativo/abrogativo ma è sicuro che, se la comunicazione diverrà sempre più opaca e gli italiani sapranno poco o nulla della posta in palio, potrebbero esserci sorprese nel referendum che pure quattro anni fa, nel 2006, aveva visto una salda maggioranza a difesa della costituzione.
Perché non avvenga questo, è necessaria una mobilitazione che non riguardi soltanto l’opposizione parlamentare ma una parte rilevante e maggioritaria della società civile.
L’assemblea di Acquasparta nasce da questa fondamentale esigenza e vuole essere una prima tappa necessaria di questa mobilitazione che dobbiamo promuovere per i prossimi sei mesi di qui al prossimo 2 giugno 2010.
Speriamo che, questa volta, gli italiani si rendano conto di un grave pericolo e si mettano in movimento contro un populismo autoritario che domina già da un anno e mezzo l’Italia.

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