martedì 19 gennaio 2010

La Repubblica di Hammamet

Dal Quotidiano Il Fatto Quotidiano
del 19 gennaio 2010

di Luca Telese
(Giornalista)


Craxiani ad Hammamet, come fascisti su Marte. Malinconici, simpatici, vagamente surreali. Si aggirano per gli albergoni fantasma di questo paese fantastico, in un tempo fuori stagione: strade deserte, tassisti fermi agliangolidellestrade,ovunqueritratti ritoccati del presidente Ben Alì che pare il figlio di stesso, i ragazzi ventenni delle boutique delle griffe contraffatte che inseguono disperati i clienti: “Ehi, italiano, anche io ero amico di Bettino! Entraavedereleborse…”.Èunluogo strano, un po’ Sherazade, un po’ Rimini: piove, e non si può nemmeno dire “governo ladro”. La sera fa freddo. Craxiani fuori stagione, craxiani che per due giorni affollano gli hotel spopolati come in un impossibile ritorno al passato, che la sera ballano il liscio e guardano lo spettacolino del cabaret, rievocano gli anni ruggenti e le cronache dei comitati centrali seduti intorno ai divanetti, “ti ricordi i meriti e i bisogni”? E al centro c’è Gianni De Michelis che scherza e fa battute, come se fosse tornata l’aria di baldoria degli anni Ottanta.

Se doveva partire da questo angolo fuori dal tempo di Tunisia, la celebrazione di un eroe riabilitato, se doveva essere accesa qui, la stella più importante di un nuovo Pantheon dell’Italia berlusconiana – da Craxi a Mangano – qualcosa non è andato come doveva. Perché questa tribù è una tribù senza figli, e persino i tre ministri del governo Berlusconi, “i tre ministri socialisti”, si materializzano all’improvviso davanti alla tomba semplice e bianchissima del cimitero italiano, come se fossero paracadutati da un altro pianeta. Non sono tre esecutori testamentari, ma tre Re magi: ecco Franco Frattini scortato da Tarak Ben Ammar, ecco Maurizio Sacconi, Renato Brunetta che si fa largo, solo un passo indietro. Il minuto di silenzio non si fa. Se questa doveva essere l’occasione per ribattezzare Craxi davanti all’opinione pubblica , l’operazione è riuscita meglio in Italia, dove è arrivata l’eco mediatica di un avvenimento che sul palcoscenico tunisino non c’è stato. La cerimonia non ha avuto un suo momento di emozione, un centro, una occasione di riflessione. Nessun discorso, solo la conferenza stampa che con sagacia comunicativa Stefania organizza sulla lapide di suo padre, facendo trasportare i giornalisti alle nove del mattino. “Non si fanno dichiarazioni nei cimiteri”, dirà Bobo pochi minuti dopo. E ancora una volta i due fratelli si dividono sulla liturgia, sulla politica, sui simboli. Il Craxi tratteggiato nel discorso di Stefania e nelle dichiarazioni dei tre ministri non è, e non può essere, un simbolo pacificato. “Lui e Garibaldi – racconta lei – sono due grandi italiani sepolti fuori dall’Italia”. Solo che Garibaldi non riposa all’estero, ma a Caprera, e se non è un lapsus, l’associazione è indicativa. “La salma di Craxi – dice ancora la figlia calcando sulle parole – non potrà mai tornare in Italia”. Perché era la sua volontà, e per quel che è accaduto, aggiunge. Craxi diceva che quel piccolo cimitero gli piaceva perché era allegro. È vero: ci sono gli uccelli cantano e, a pochi metri, il rumore del mare. C’è un giovane tunisino che da anni cura la tomba, e gli porta i fiori.

La simbologia di Hammamet, è un contrappunto di note dolenti, di silenzi, di solitudine. Così come nel Craxi che Stefania racconta nei documentari della sua fondazione (uno dei quali proiettato venerdì sera in albergo, in un silenzio incredibile) non è un eroe spendibile politicamente, ma un uomo ammalato di malinconia e rabbia. Non ci sono venuti i rampanti ad Hammamet. Gli ex rampanti, piuttosto. Non ci sono i ragazzi di Forza Italia, ma gli ex ragazzi del Garofano. Non la Milano da bere, ma la Milano che è stata bevuta dalla storia. E non ci sono nemmeno tutti i dirigenti del Psi che furono la spina dorsale della classe dirigente del Psi, non gli apostati: né Claudio Martelli, e né Ottaviano Del Turco. Bobo si ritaglia in suo spazio di riflessione con più discrezione, e due battute di sarcasmo micidiali. I giornalisti gli riferiscono che Stefania, nel cimitero ha sentenziato: “L’internazionale socialista è morta”. E lui: “Lo ha detto anche Giddens… Ma c’era Giddens, nel cimitero?”. Forse si sarebbe potuto celebrare solennemente, questo decimo anniversario della morte. Ma allora ci sarebbero voluti un palco, degli oratori, un respiro capace di elevare Craxi da simbolo di vendetta a eredità politica. Meno conte di Montecristo, più statista. Forse si sarebbe potuto invitare a parlare un suo ex compagno come Felipe González e qualche rappresentante solido della storia del socialismo italiano, magari Rino Formica, che pure si aggirava nei saloni dell’Hotel Meehari, 82 anni splendidamente portati. Invece, finché Stefania cercherà di fare di suo padre il precursore di Berlusconi, Craxi non potrà essere restituito nemmeno alla memoria del suo figlio maschio. Non è un caso che Bobo (oggi schierato a sinistra) esalti il Craxi autonomista, dicendo che non sarebbe mai finito nel Pdl. E che invece Stefania ruggisca quasi con orgoglio: “Oggi le sue idee sono quelle che guidano il governo”. A chiudere il cerchio oggi dovrebbe essere l’intervento di Berlusconi nella commemorazione al Senato. Ma se Craxi non riesce a pacificare tutti i socialisti della diaspora che si ritrovano a litigare in Tunisia, non può diventare un nuovo padre della patria. Qui ad Hammaet trovi militanti antichi come Antonio Febbraio, che si porta dietro una bandiera del Psi del 1946 (quella con il libro e la falce e martello che proprio Craxi cancellò), trovi uno come Pierluigi Polverari, ex deputato che colpito da avvisi di garanzia si rifugiò in Tunisia come il suo capo. Trovi uno dei più famosi librai antiquari italiani, Giovanbattista Lombardozzi, che sospira: “Quelli del Psi erano, e sono, affaristi che pensano ai cazzi loro. Io sono qui perché mi piaceva lui. Un medico deve essere bravo quando opera, se ruba o meno, non conta nulla”. Poi, quando tutti corrono via con le valigie, e ti chiedi quale sia il senso di tutto, nella hall del Meahri incontri il sorriso e gli occhiali da intellettuale di Formica. La capacità di ironia dell’ex ministro che inventò “i nani e le ballerine”, è ancora quella folgorante di un tempo: “La cerimonia non funziona perché il morto non riposa. E il morto non sembrerebbe vivo, se i vivi che gli sono venuti intorno, oggi, non fossero in realtà tutti morti”.


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