giovedì 28 gennaio 2010

Il deserto del tartaro

Dal Quotidiano Il Fatto Quotidiano
del 28 gennaio 2010

di Marco Travaglio
(Giornalista)


La differenza fra Pdl e Pd, a parte la elle, è tutta nella battuta di Prodi: “Ma chi comanda nel Pd?”. Nel Pdl invece comanda il Banana. Infatti, mentre il centrosinistra si dilania in primarie fratricide, sfibranti dibattiti su alleanze e candidature, addirittura dimissioni per scandaletti da film di Jenny Tamburi e Bombolo, e mentre persino Cuffaro si autosospende dall’attività politica nell’Udc (ma non dal Senato, mica è fesso) dopo la condanna per favoreggiamento mafioso, dall’altra parte non muove foglia che Banana non voglia. Anche Fini è tornato a cuccia, i suoi han votato il processo morto e ora vorrebbero addirittura riesumare l’immunità parlamentare. Nicola Cosentino, raggiunto da un mandato di cattura, è saldamente al suo posto di sottosegretario alle Finanze e presidente del Cipe: lui mica aveva l’amante, è solo indagato per Camorra. Raffaele Fitto, rinviato a giudizio due volte per corruzione, turbativa d’asta e interesse privato, rimane a pie’ fermo ministro e sceglie pure il candidato governatore di Puglia. Lottizia Moratti, condannata in primo grado col suo staff dalla Corte dei conti a risarcire 263 mila euro per avere sperperato denaro pubblico in consulenze inutili, resta felicemente sindaco di Milano. Idem Roberto Castelli, noto nemico di Roma ladrona, condannato pure lui dalla Corte a restituire 100 mila euro per le consulenze pazze al ministero della Giustizia, ergo viceministro delle Infrastrutture. L’esempio viene dall’alto: se il Banana non fa una piega nemmeno ora che ha mezza famiglia indagata per frode fiscale e appropriazione indebita da 34 milioni di dollari, c’è speranza per tutti. Resta da capire cosa debba fare uno del Pdl per doversi dimettere: basterà una rapina in banca con omicidio, o è richiesta la strage? Dopotutto la democrazia all’italiana è questa: prendere i voti e profittarne finché si può. Dopo il processo breve, il Banana ha inventato le primarie brevi: rimessosi dal vile attentato di piazza Duomo, si è riunito con se stesso, ha riaperto l’agendina delle girls (una Treccani in 18 volumi) e ha messo giù le liste e i listini. Repubblica informa che, nei listini con gli eletti sicuri in ogni regione, “due posti vanno lasciati a disposizione del Presidente”. Pare che l’assista nella ferrea selezione Licia Ronzulli, la sua fisioterapista promossa eurodeputata, detta anche “la Rasputin di Arcore”. Licia Rasputin gli avrebbe suggerito, fra i candidati d’eccellenza, un collega massaggiatore. Ma “questi dovrà vedersela con il suo geometra di fiducia del Cavaliere, Francesco Magnano, con il massaggiatore del Milan, Giorgio Puricelli, e la sua igienista dentale che avrebbe avuto piccole esperienze televisive”. Alla regione Lombardia mancava giusto quella che gli leva il tartaro dal sorriso di plastica. Dopodiché nulla osterà all’elezione della callista, del tagliatore di peli dal naso e del fornitore di capelli sintetici (a proposito, è ora di una ripiantatina). A quel punto bisognerà trovare un posto anche alla manicure di Angelino Jolie, che non ha fatto nulla di male per essere così odiosamente discriminata, anzi le tocca pure maneggiare gli arti superiori del Guardasigilli alle Maldive. Pare che l’altro giorno un certo Riccardo Migliori, ex di An, sia salito a Palazzo Grazioli per autoproporsi come governatore in Toscana: il Banana, quando finalmente, dopo lunga anticamera, l’ha ricevuto nel consueto accappatoio bianco, ha obiettato: “Lei avrà anche esperienza, ma non ha il fisico adatto, qui ci vuole una bella donna”. Pare infatti che il Migliori sia sprovvisto di tette e, diversamente dal premier, pure di fondotinta. Scartato. Per la Toscana si pensa alla procace ex sindaca di Castiglion della Pescaia, Monica Faenzi, sponsorizzata dal coordinatore Pdl Denis Verdini, lo stesso che un anno fa stroncò le speranze di rielezione dell’europarlamentare pugliese Marcello Vernola con questa insuperabile motivazione: “Caro, tu non c’hai le poppe”. Poi dicono che in Italia non c’è selezione delle classi dirigenti.

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