martedì 26 gennaio 2010

Ingroia: ''La morte breve di molti processi''

Dal Quotidiano L'Unità
del 25 gennaio 2010

di Natalia Lombardo
(Giornalista)


Il rischio? Zero intercettazioni, altro che italiani tutti sotto controllo». Antonio Ingoia, procuratore aggiunto di Palermo, all’Assemblea nazionale di Articolo21 ad Acquasparta ha sfatato la vulgata su un’Italia supercontrollata.



Lo scrive anche nel libro C’era una volta l’intercettazione (edito da Stampa Alternativa): «Gli italiani intercettati sono tra i 10 e i 20mila, e non 3 o 4 milioni come hanno detto un anno fa Il Giornale e il ministro Alfano» facendo una media sui130mila decreti di autorizzazione, senza contare però che ogni intercettazione necessita di un decreto da rinnovare ogni quindici giorni. E nel disegno di legge Alfano, che Ingoia chiama «controriforma», lo stabilire che servano «gravi indizi di colpevolezza» (quando il reato è già stato individuato) e non più «gravi indizi di reato», porta «all’azzeramento delle intercettazioni, ambientali e telefoniche, che hanno risolto tante inchieste di mafia».
In questa tre giorni si è parlato tanto di difesa della Costituzione. Secondo lei è in pericolo?
«Da tempo la Costituzione è sotto attacco in alcuni snodi fondamentali. L’autonomia e l’indipendenza della magistratura è da anni sotto assedio costante, e lo è il principio di uguaglianza. L’articolo 3 della Costituzione, anche per merito di una magistratura dalla schiena dritta, non è rimastoun principio astratto. Tutti i più recenti disegni di legge, invece, puntano a creare una giustizia a due velocità: efficiente e dura con i deboli, morbida e fiacca con i potenti. Una giustizia che assicura impunità ai potenti».

Il processo breve ripropone questo squilibrio?
«Ci sono molti processi a rischio e si favoriscono imputati che si possono consentire una difesa costosa, approfittando delle lungaggini consentite. Si estingue anche il reato, quindi condanna la giustizia al fallimento. E si ingannano gli italiani con una piccola truffa nell’etichetta».

Non è affatto «breve»?
«Dovrebbe definirsi: legge della morte breve dei processi. È giusto assicurare tempi rapidi, ma qui c’è un processo che rimane lungo e si fissa solo un termine massimo che non potrà mai essere rispettato. Occorre una riforma della giustizia che accorci i tempi, ma che dia alla magistratura strumenti umani, operativi e fondi. Ci sono carenze del 30 per cento nelle procure di Palermo e Catania, tagli dei fondi per lo straordinario del personale, delle cancellerie. Le udienze si tengono solo la mattina. A tutta macchina i tempi sarebbero dimezzati».

Quella sul legittimo impedimento è un’altra legge ad personam, oppure è giusto che una carica dello Stato eviti i processi?
«Insistere sui particolarismi ad personam non fa bene al senso di giustizia dei cittadini, che vogliono una giustizia uguale per tutti, senza disparità e privilegi per casta».

Con la chiusura dell’inchiesta Mediatrade è ripartita l’accusa ai pm di un attacco pre-elettorale. Che ne pensa?
«Putroppo l’aggressione alla magistratura è una costante quotidiana che non si ispira a quei principi di coesione costituzionali più volte raccomandati inutilmente dal presidente Napolitano».

Al Sud la criminalità manda segnali intimidatori, come in Calabria. Cosa sta succedendo?
«Al Sud ci sono stati molti episodi, in Sicilia soprattutto a Gela, in cui la mafia ha alzato la testa, e in Calabria la n’drangheta è in una preoccupante fase di espansione di potere. Per troppi anni c’è stata distrazione, poco impegno, così la criminalità ne ha approfittato espandendo affari fuori confine, anche nel traffico di droga».

Connivenze?
«Sì, connivenze, coperture. Serve massima attenzione, ma non solo nel controllo militare del territorio: come è avvenuto per la mafia, bisogna verificare come la ‘ndrangheta ha costituito un sistema di potere che porta a collusioni e intrecci con l’economia e la politica».

Sulle collusioni in Sicilia, dalla “trattativa” alla condanna in appello a Totò Cuffaro, questo nodo tra politica e mafia è possibile scioglierlo?
«Negli ultimi anni si è dimostrato che c’è una magistratura in grado di indagare a fondo anche sui rapporti tra mafia e politica, con processi e condanne. Ma la magistratura non può fare pulizia da sola, occorre un corale impegno da parte della politica. Il più delle volte invece dalla politica c’è stata una difesa a oltranza e una controffensiva sulla magistratura, percepita come una minaccia invece che come un alleato. E una magistratura indebolita dalle polemiche e dagli attacchi, con pochi uomini e mezzi, come al Sud, è troppo isolata e sovra esposta. Serve quanto mai il sostegno da parte di tutti».

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