mercoledì 11 novembre 2009

Rai, nasce il Comitato di controllo

Dal Quotidiano Il Fatto Quotidiano
del 11 novembre 2009

di Carlo Tecce
(Giornalista)


La rinascita del MinCul-Pop fascista è nascosta tra le pagine delle linee guida approvate dall’Agcom. Senza perifrasi.

L’Autorità allarga la sua influenza per restringere la libertà della Rai, subordinata al controllo di un comitato esterno all’azienda, e selezionato su parere del ministero dello Sviluppo economico. Volontà di Claudio Scajola. Comando del governo. Articolo 3, punto 31: “Il sistema di valutazione della qualità dell’offerta – si legge – dovrà essere realizzato sulla base degli appositi indicatori previsti dal contratto di servizio e dovrà essere sottoposto alla vigilanza di un organismo esterno, composto da esperti qualificati in materia, scelti dall’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni d’intesa con il ministero e nominati dalla Rai”. Entro tre mesi dall’entrata in vigore del contratto di servizio, oggi sul tavolo del Cda. Da marzo e per tre anni, agitando la sciabola della censura e delle sanzioni, questi “esperti” dovranno stabilire i labili confini della qualità. Il presidente Corrado Calabrò intende picchettare il deserto, ridisegnare l’autonomia della Rai e asservirla al Consiglio dei ministri: “Compete all’Autorità la mancata osservanza da parte della Rai degli indirizzi impartiti”. Un passaggio coatto di competenze: nella pletorica burocrazia di viale Mazzini, tra pesi e contrappesi, l’Agcom esonda per favorire il governo e sterilizzare la commissione di Vigilanza parlamentare. L’avvocato Domenico d’Amati, consulente di diritto del lavoro, rintraccia nel testo il progetto eversivo e l’obbrobrio giuridico: “L’affidamento dei poteri all’Agcom e al ministero delle Comunicazioni finisce per attribuire al governo un potere di intervento sull’informazione e la programmazione televisiva, in contrasto con i principi ripetutamente affermati dalla Corte Costituzionale, secondo cui l’emittente pubblica deve essere soggetta soltanto al controllo del Parlamento. Con la creazione dell’organismo esterno si realizzerebbe l’obiettivo di reincarnare, dopo 70 anni, il defunto MinCul-Pop”. Ai telespettatori sarà impedito di giudicare cambiando canale oppure protestare tramite le associazioni di consumatori; l’Agcom s’arroga il diritto di interpretare la “sensibilità” e tutelare “i principi di completezza e correttezza, obiettività, lealtà, imparzialità, pluralità dei punti di vista e osservanza del contraddittorio da raggiungere nelle trasmissioni di informazione quotidiana e di approfondimento”. Il messaggio è obliquo eppure chiaro: attenzione, voi che fate informazione – Annozero? – se pronunciate un pensiero “a” dovete ritrattarlo con un pensiero “b”. Non basta? “Ciò esige un’applicazione attenta della deontologia professionale del giornalista, coniugando il principio di libertà con quello di responsabilità”. Sul cucuzzolo che introduce la censura svetta l’Agcom, sorretta dal governo, ma in fondo s’ammassano confusione e masochismo. I giornalisti della Rai saranno legati dal nuovo contratto di servizio e osservati speciali dal comitato di controllo: poco importa, l’azienda pubblica rinuncia ai dati di ascolto. Non le interessa sopravvivere, perché ormai ha deciso di morire. Nonostante nei conti Rai siano scomparsi i previsti 300 milioni di pubblicità, coperti dal canone e da mutui bancari,l’Agcom consiglia di invertire la tendenza: “Più trasmissioni di programmi che non rientrano nell’offerta delle emittenti commerciali, anche attraverso la predisposizione di

un piano strategico per il recupero dei generi culturali di nicchia, compresi il teatro, la musica sinfonica, la lirica, nelle tre reti generaliste, diversificando e segmentando l’audience”. Calabrò non teme l’esilio di Pirandello e Beckett, semmai annuncia una resa incondizionata a Mediaset: quale tv promuove le nicchie incurante dell’audience? Era previsto.

A Loris Mazzetti sovviene un episodio all’apparenza innocuo: “Ricordo che alla presentazione dei palinsesti – dice il dirigente Rai – il direttore generale Masi non pronunciò mai la parola concorrenza. Ora stanno scrivendo la fine della Rai”. E l’inizio delle purghe.

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