giovedì 3 dicembre 2009

BERLUSCONI VUOLE LE ELEZIONI MA I SUOI LO FRENANO

Dal Quotidiano Il Fatto Quotidiano
del 3 dicembre 2009

di Sara Nicoli
(Giornalista)


Ieri pomeriggio, a Milano, era in vena di battute: “Vado a Panama e mi mancheranno i pm, i giornali e Annozero”. Solo dodici ore prima la sua rabbia era risultata incontenibile. “Dobbiamo isolarlo e poi andare alle elezioni!”. Urlava così, il Capo, al telefono prima con Gianni Letta poi con Denis Verdini e, in ultimo, con Fabrizio Cicchitto. Dopo aver sentito l’ennesima presa di distanza di Fini a Ballarò, era diventato una furia. Valentino Valentini, che con Bonaiuti gli stava accanto, lo ha descritto come “stravolto dall’irritazione e dalla rabbia”. Con Letta, il Capo è andato giù pesante, intimando di “trovare una soluzione per farlo dimettere (Fini, ndr), per tirarlo giù da lì; non possiamo andare alle elezioni con questa spina nel fianco che vuole solo logorare me e non capisce che invece logora anche se stesso…”. Così, lo sfogo notturno. Poi, di prima mattina, le sue parole hanno trovato immediata traduzione nello schizzo di vetriolo lanciato dal ministro Scajola in direzione della terza carica dello Stato. “Si discute e si ragiona – ecco la frase – ma la linea deve essere comune; da troppo tempo ci sono dei distinguo fuori dalla linea del programma”. Come a dire: quella è la porta, il signor Fini si accomodi pure.

Il Capo, insomma, ha capito che non se ne esce. I suoi, invece, che non vogliono andare a casa come si conviene a un Parlamento di nominati, hanno fatto da pompieri e da pontieri per tutta la giornata, cercando un riavvicinamento, anche piccolo, ma pur sempre un “segnale”, come ha detto Frattini, per scongiurare la frattura definitiva. Nell’ala dei falchi del Pdl si è finalmente capito che Fini mantiene il punto, che non ha alcuna intenzione di fare un passo indietro e quindi, per il bene di tutti, tocca ricucire. Per il bene di tutti, certo. Ma il Capo il suo bene lo vede diverso. Vede, soprattutto, un complotto ordito alle sue spalle per soffiargli Palazzo Chigi e, quindi, insiste; alle elezioni, per scrollarsi dalle spalle il “traditore”, “l’infame”, “il rinnegato”, solo per fare qualche esempio di come i fedelissimi militanti Pdl hanno apostrofato Fini sul sito di Forza Italia. Ormai la distanza tra i due è siderale: per Berlusconi, Fini è un nemico da abbattere.

Soprattutto, il Capo è ossessionato dal logoramento a cui il presidente della Camera lo sta sottoponendo. L’azione del governo è praticamente cristallizzata intorno alle emergenze (le sue) e nonostante tutto, Fini non perde occasione per smarcarsi vistosamente da un esecutivo in forte difficoltà. Berlusconi teme che Fini possa tendergli delle trappole nel percorso a marce forzate che dovrebbe contrassegnare l’approvazione del processo breve. E teme, soprattutto, la sponda del Quirinale su Fini nel segno della pacificazione del clima politico e delle riforme. Dice Giorgio Stracquadanio, animatore Web del “Predellino”, fedelissimo scudiero dell’Imperatore: “L’unica cosa che in questo momento preoccupa Berlusconi è come giustificare davanti all’elettorato il ricorso alle urne”. “Ma d’altra parte – prosegue – una situazionecome questa ormai la si può risolvere solo così”. Con le elezioni, appunto. Anche se Sandro Bondi, sempre ieri, avrebbe fatto riflettere il Capo: “E se Napolitano – avrebbe detto il ministro dei Beni culturali – desse poi l’incarico proprio a Fini di tirare su un governo istituzionale e portare a termine la legislatura?”. “E chi gliela dà la maggioranza? Con chi lo fa il governo? Non certo con i nostri”, avrebbe risposto stizzito, ma preoccupato, Berlusconi. Il tarlo, dunque, ha cominciato a fare il suo lavoro. Una maggioranza che sostenga Fini in verità c’è eccome, ma è parere diffuso nel Pdl che il rischio si possa anche correre, perché tutte le altre strade appaiono più in salita. Con Cicchitto e Quagliariello, Berlusconi ha fatto anche il punto sulla scansione temporale degli avvenimenti che lo separano dal 18 gennaio, la dead line per sciogliere il Parlamento. Oltre quella data sarebbe impossibile indire l’Election Day per il 26

marzo e si prefigurerebbe lo

scenario trapelato nelle parole

del ministro Rotondi; prima il voto sulle regionali poi si scioglie il Parlamento e si vota a fin e maggio, inizio giugno. Berlusconi, ovviamente, considera l’eventualità impercorribile: si deve andare a votare il più presto possibile. Perché, ormai, è anche abbastanza certo che per approvare definitivamente il processo breve prima delle regionali i tempi potrebbero non esserci. “Si dovrebbe approvare al Senato entro il 22,23 dicembre – spiega un uomo vicino al Cavaliere – poi calendarizzarlo alla Camera per i primi giorni di gennaio; secondo lei, Fini gli darebbe una corsia preferenziale? Io non ci credo…”. Visto il numero di emendamenti, poi, giusto ieri il capogruppo Pd in commissione Giustizia, Felice Casson, ha detto chiaramente che “non ce la possiamo fare ad approvare tutto in commissione per il 16 dicembre”. C’è di più. Il 21, alla Camera, si comincia a discutere la Sarubbi-Granata sulla cittadinanza agli immigrati, ma prima ancora, il 10, sono in ponte due voti delicatissimi sul caso Cosentino, uno per l’autorizzazione all’arresto, l’altro per la mozione sulle dimissioni: a Montecitorio si dice che in quest’occasione il fronte del Pdl potrebbe liquefarsi come neve al sole. Se, come è presumibile, dalla seconda votazione usciranno dei numeri diversi, scatterà immediata la conta. Il Pdl è in assoluto stato confusionale. “Spero che gli equivoci si superino – ha commentato mesto il Guardasigilli Alfano – perché il Pdl è figlio di una grande intuizione che non va dispersa ma valorizzata”. Invece, pare proprio che le comiche finali siano in pieno svolgimento.

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