martedì 1 dicembre 2009

Chi fa “sparate” e chi spara

Dal Quotidiano Il Fatto Quotidiano
del 1 dicembre 2009

di Gianfranco Pasquino
(Associazione Cittadini per Bologna)


La doppia sequenza è oramai arcicollaudata. Berlusconi esterna al di sopra delle righe. Le sue parole vengono battute da tutte le agenzie. Poche ore dopo segue una dichiarazione dei portavoce nella quale il presidente del Consiglio afferma di essere stato frainteso, di non avere mai detto quanto gli viene attribuito. Nel frattempo, in tutti i talk show si discute di quella dichiarazione che rimbalza a cascata e che, naturalmente, non viene mai criticata, ma sempre giustificata dai suoi corifei ai vari livelli. Quando intervengono coloro che criticano la dichiarazione, i corifei prima dicono che è stata smentita, poi che non è mai stata pronunciata. Ma qualche volta la registrazione audio rimane lì, disponibile e inoppugnabile. Se, poi, il dichiarante è Bossi, come sappiamo tutti, l’Umberto è un bravo ragazzo, qualche volta esagera, ma bisogna capirlo: è il suo stile (che piace tanto all’elettorato, non soltanto al nord). Dunque, non è vero che c’è un clima da guerra civile (mai detto!). Però, c’è un complotto della magistratura. È in corso un’operazione eversiva per rovesciare il governo del Popolo della libertà. Non è neppure vero, come va ripetendo periodicamente l’Umberto (e come aveva anticipato l’ideologo della Lega, Gianfranco Miglio, finché non fu messo ai margini) che ci sono trecentomila fucili e altrettanti passa montagna pronti all’uso se non si farà il federalismo, o altre cosette del genere.

Comprensibilmente, molti italiani reagiscono pensando che sono esagerazioni. Alcuni deplorano le modalità barbariche con le quali si svolge il dibattito politico. Altri pensano che, forse, in queste deplorevoli dichiarazioni potrebbe configurarsi un qualche reato che i magistrati complottisti dovrebbero addebitare a Bossi e a Berlusconi e che il ministro degli Interni Maroni potrebbe ravvisare e perseguire poiché turbano l’ordine pubblico. Invece, “sparata”, con deplorazione o compiacimento, sulle prime pagine di alcuni giornali, la notizia recede nelle pagine successive e in pochi giorni scompare. Nel caso di Berlusconi, più della dichiarazione specifica, e gravissima, sulla possibilità di una guerra civile, da intendersi come una chiamata alle armi dei suoi sostenitori, dovrebbero valere alcune foto che lo ritraggono accigliato, invecchiato, teso e con la faccia davvero cattiva e minacciosa. Tutti i rumour e le indiscrezioni suggeriscono che questi sono i giorni peggiori da quando è entrato in politica. I processi incombono e i tempi di un salvataggio legislativo diventano strettissimi. La sfida di Fini, più che sulla successione, sul modello di partito, è ineludibile. La conta interna non del tutto rassicurante. Il leader populista non può che fare appello al popolo. Circola con insistenza la possibilità di una sua richiesta di scioglimento del Parlamento (e conseguente eliminazione di Fini dalla troppo visibile e prestigiosa carica di presidente della Camera). Raggiunto da una condanna in primo grado per la quale, in qualsiasi democrazia, l’etica politica ne imporrebbe le dimissioni, Berlusconi chiederebbe, invece, elezioni anticipate. E la sua eventuale vittoria costituirebbe la peggiore manifestazione del populismo: il “popolo” contro il sistema giudiziario. Ma sarebbe il popolo berlusconiano che “scenderebbe in campo” aprendo uno scontro che potrebbe appunto avere caratteristiche di guerra civile.

La versione di Bossi è più semplicistica, ma altrettanto pericolosa poiché di qualche effettiva violenza da parte di gruppi d’assalto leghisti ne abbiamo già avuto esempio. L’elemento comune preoccupante in entrambe le esternazioni “guerra civile+300 mila fucili” è l’indicazione che la chiamata alla violenza, di piazza e più, fa parte del lessico di due leader al governo di un paese democratico europeo. Una parte di italiani accetta la situazione che si è venuta creando senza neppure rendersi conto della sua gravità. Addirittura, chi la denuncia, oltre a essere accusato di antiberlusconismo viscerale e di demonizzazione dell’avversario politico (il quale definisce gli altri “nemici” politici) viene trattato come un allarmista che contribuisce direttamente al clima di scontro. Coloro che vorrebbero una competizione politica basata sul confronto di idee, di proposte e, perché no, di persone e delle loro capacità, risultano essere degli alieni che esorcizzano malamente eventi che, invece, magari non sono dietro l’angolo, ma vengono palesemente evocati. Se un partito è una caserma è assolutamente comprensibile, ma mai giustificabile che troppi suoi dirigenti non contraddicano mai le espressioni estreme del loro leader maximo e del suo alleato più stretto. Nell’atmosfera a metà tra incredulità e indifferenza, qualcuno usa la prospettiva della guerra civile per rendere più difficile, se non impossibile, l’applicazione della legge ai suoi comportamenti. Qualcun altro manda un segnale di violenza da organizzare per ottenere, dal governo al quale partecipa con grande potere di intimidazione , le riforme da lui volute. Siamo in una situazione politica a metà fra il surreale e il pericoloso che non deve in alcun modo essere né sottaciuta né sottovalutata.

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