venerdì 18 dicembre 2009

Consulta, casa delle regole

Dal Quotidiano Il Fatto Quotidiano
del 18 dicembre 2009

di Lorenza Carlassarre
(Professoressa emerita di diritto costituzionale all'Università di Padova)


La Costituzione, fissati i principi fondamentali, passa a svilupparli iniziando dai diritti, cuore del costituzionalismo, ponendo precise garanzie. Se la legge non le rispetta la Corte costituzionale può dichiararla illegittima. Parlando dei diritti, i riferimenti alla Corte sono continui. E’ necessario perciò sapere quando può intervenire, con quali effetti, e, viste le polemiche di questi tempi, com’è composta. Difficile e delicata è la scelta relativa alla composizione di un organo che dev’essere indipendente e imparziale, ma non può che essere formato da esseri umani con le loro storie, opinioni, orientamenti. I Costituenti hanno scelto una soluzione equilibrata che nel complesso ha dato buona prova. Quindici giudici di provenienza diversa: cinque nominati dal presidente della Repubblica nella sua qualità di organo super partes (spesso sono venute da qui le personalità più eminenti); cinque eletti dalle supreme magistrature, cinque dal Parlamento in seduta comune. Possono essere scelte solo persone qualificate: magistrati delle giurisdizioni superiori, professori ordinari di università in materie giuridiche, avvocati dopo vent’anni di esercizio. Si vuole garantire così l’equilibrio interno dell’organo attraverso l’apporto di componenti diverse e assicurarne l’indipendenza collocandolo fuori dall’influenza del governo e della maggioranza: nella sua composizione la Corte rispecchia tutti i poteri dello Stato diversi dall’esecutivo e, in Parlamento l’elezione dei giudici avviene a scrutinio segreto con una maggioranza qualificata (due terzi per i primi tre scrutini, tre quinti per i successivi) che non consente alla maggioranza parlamentare di decidere da sola. I giudici costituzionali durano in carica nove anni, termine che per ciascuno decorre dal giorno del giuramento; non si rinnovano tutti insieme. Tutto è fatto per evitare la politicizzazione della Corte che deve decidere in modo indipendente e non deve rendere conto a nessuno; la qualità tecnica e la statura morale di ciascuno dipenderanno poi, ovviamente, dall’etica e dalla statura di chi li nomina o li elegge.

La Corte costituzionale è un organo del massimo rilievo, fondamentale per il funzionamento di una democrazia costituzionale, che vincola il potere politico a regole e limiti. Regole e limiti che non piacciono al potere e hanno quindi bisogno di un organo indipendente in grado di imporli. Da qualche tempo si parla di mutarne la composizione, nei giorni scorsi se n’è parlato con violenza. Ma poiché il procedimento di revisione costituzionale (in mancanza dell’approvazione con i due terzi) prevede il referendum “oppositivo”, il popolo sovrano saprà dire di no a riforme che neutralizzino l’effettivo potere della suprema istituzione di garanzia. Una Corte addomesticata non serve più, è un’inutile presenza.

L’art. 134 stabilisce le funzioni della Corte costituzionale: la prima è giudicare la legittimità costituzionale delle leggi – dello Stato e delle region – e degli atti legislativi del governo. Le norme prodotte da questi atti, provenienti da organi politici, sono sottoposte al controllo qualora siano in contrasto con la Costituzione. Per i cittadini è una garanzia della massima importanza perché si tratta delle norme che regolano la loro vita, dai rapporti familiari a quelli economici e di lavoro, dalle imposte all’istruzione. Eppure, troppo spesso, per mancanza d’informazione essi pensano alla Corte come a un’istituzione lontana che nulla ha a che fare con la loro esistenza. Basta ricordare come le sue sentenze abbiano inciso su questioni essenziali, eliminando norme rimaste in vigore da prima della Costituzione, ispirate a principi opposti. Ad esempio le norme che discriminavano i figli naturali rispetto ai figli legittimi, oppure le donne rispetto agli uomini, come per l’adulterio, reato solo femminile, eliminato insieme con tutti i reati d’infedeltà coniugale; oppure gli uomini rispetto alle donne come il divieto d’insegnare nelle scuole materne. Gli esempi sarebbero troppi anche soltanto guardando al principio di eguaglianza (art. 3 Cost.). Ne ricorderò solo un altro, importante per la parità fra i sessi: la fine dell’esclusione delle donne dalla magistratura.

Come si arriva al giudizio costituzionale? I cittadini hanno la possibilità di ricorrere alla Corte?

Non direttamente, la via da percorrere passa attraverso un comune giudizio, penale, civile o amministrativo, nel corso del quale chi è danneggiato da una norma che dovrà essere applicata nel giudizio stesso e la ritiene incostituzionale può chiedere al giudice di sospendere il giudizio e inviare gli atti alla Corte. Il giudice sottoporrà la norma al controllo soltanto dopo aver valutato se è una norma che egli deve applicare a quel caso (altrimenti sarebbe solo un pretesto per allungare i tempi) e, se c’è un dubbio d’incostituzionalità. Se il dubbio c’è e la questione non è “manifestamente infondata”, il giudizio è sospeso in attesa della decisione della Corte, la quale, dopo aver confrontato la norma con una precisa disposizione costituzionale che deve essere indicata dal giudice (pena l’inammissibilità), decide. Se non riscontra alcun contrasto, dichiara “infondata” la questione e il giudice deve riprendere il giudizio applicando la norma anche se gli sembra illegittima. Se invece accerta in contrasto, la Corte dichiara la illegittimità costituzionale della norma impugnata. L’effetto è importante: la legge non può più essere applicata da nessuno, né per i rapporti sorti dopo la sentenza, né sorti prima: è rimossa dal sistema.

E’ ben comprensibile che al potere disturbi veder cadere nel nulla leggi alle quali era fortemente interessato, ma questa è la democrazia “costituzionale”. Il contrasto con la Costituzione non è consentito.

(1-continua)

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