domenica 6 dicembre 2009

L’avvocata degli stranieri e delle cause giuste

Dal Quotidiano Il Fatto Quotidiano
del 6 dicembre 2009

di Nando Dalla Chiesa
(Dirigente PD)


Quella criniera fulva gli immigrati la conoscono a memoria. Comunque la riconoscono al volo. I più integrati, che frequentano i dibattiti e i convegni sui loro diritti. Ma anche gli altri, quelli che devono penare per un permesso di soggiorno, che non sanno a che santo votarsi per ottenere ricongiungimenti o diritti messi nero su bianco e invece sempre appesi a un filo. Quelli delle vite fantasma giunte in Italia dalle altre sponde del Mediterraneo, dagli oceani o dall’est sterminato. E che si incrociano come attirate da uno stesso irresistibile richiamo nel suo studio genovese in Salita Viale. Senegalesi e marocchini, cingalesi ed ecuadoriani, uomini e più spesso donne, quasi sempre giovani. Lei li fa accomodare alla bell’e meglio, esce ogni tanto a dare un’occhiata all’umanità radunata in corridoio, ai bimbi aggrappati alle mamme come fagotti adesivi, rientra, annota, incoraggia, dà consigli.

Lei è Alessandra Ballerini, avvocatessa nota dalle Alpi al Lilibeo. Non forse agli italiani dalla pelle bianca, che l’hanno intravista in qualche trasmissione televisiva. Ma sicuramente all’efficientissima radio senza frequenze dei clandestini o dei permessi in scadenza o già scaduti. “Il mio numero di telefono”, scherza ma non troppo, “è scritto su tutte le porte di tutti i cessi dei centri di prima accoglienza”. “Non era esattamente il sogno di mio padre”, aggiunge ridendo. Giovane, alta, una massa di capelli leonini, da Milano a Lampedusa lei c’è sempre. “Come è iniziata? Da subito. Circa quindici anni fa, dopo la laurea, tesi sul reato di calunnia. Capitò per caso da me un immigrato colpito da provvedimento di espulsione, i termini che gli scadevano il giorno dopo. Accettai l’incarico, studiai tutto in una notte, leggi e regolamenti compresi, e vinsi”. Il fortunato e sbalordito cliente fu veloce come un fulmine. Nel giro di pochi giorni tutta la popolosa comunità ecuadoriana genovese seppe da Carlos (così si chiamava il cliente) di questa giovane legale che faceva vincere le cause. Ora Ballerini sta un po’ agli immigrati come Bertolaso alle urgenze ambientali. A ogni sbarco con drammi umanitari, centri di accoglienza che scoppiano, diritti d’asilo da osservare, chiamano lei; che prende il borsone e arriva. A volte con colleghi famosi, altre da sola o in compagnia di qualche parlamentare più sensibile al tema (celebri i suoi arrivi con Tana de Zulueta). Davanti le passa di tutto; a volte –confessa – ha la sensazione di assaggiare l’inferno. “Mi colpiscono soprattutto le violenze sulle donne. Quelle degli italiani sulle donne straniere. Al lavoro ma anche nei rapporti di coppia. Le racconto un caso che non dimenticherò mai. Una donna con il marito italiano: lui ogni volta che lei tornava a casa la spogliava per capire, annusando la sua biancheria intima, se lo avesse tradito. E regolarmente decideva che il tradimento c’era stato. Dopodiché partiva il pestaggio, con la costrizione finale a dormire per terra. La donna venne da me con il terrore negli occhi. Mi chiese se da noi in Italia si usa fare così. Ci ho messo mesi a convincerla ad aprire la causa di separazione. Che naturalmente significò anche darmi da fare per trovarle una sistemazione”.

“No, non mi occupo solo o principalmente di maltrattamenti. Nelle mie giornate c’è di tutto. Basta aprire la finestra sull’inferno. Sfruttamento sul lavoro, clandestini ricattati dal padrone, e non parliamone oggi che la clandestinità è diventata reato, operai che lavorano diciotto ore al giorno per cinquecento euro al mese. E ancora: riduzioni in schiavitù, pratiche di affido contestate disperatamente da poveri genitori che vogliono tenersi i figli, gente a cui si vuole negare l’asilo o lo status di rifugiati. Ho un compito arduo, perché ormai è passato il principio che gli immigrati hanno meno diritti in assoluto, anche a vedersi garantiti quelli previsti dalle leggi. Sta passando l’idea che si possono usare le maniere forti, i modi spicci, la mancanza di rispetto gratuita, la violenza anche di minacce da suicidio. É il clima che galoppa a inquietarmi. L’altro giorno un graduato della polizia mi ha detto ‘ma lo sa che lei è peggio degli altri avvocati? Almeno loro lo ammettono che dicono delle cose senza crederci, che lo fanno perché quello è il loro mestiere, perché così guadagnano. Lei invece ci crede davvero, per questo è peggio’. Carino, eh? Senza parlare di quando gli immigrati, per meccanismi che vorrei capire, finiscono nelle mani di finti avvocati che gli ripuliscono le tasche e poi non presentano le cause. Succede sempre più di frequente”.

“É come correre in salita. D’altronde a fare l’avvocato dei ricchi non c’è molta soddisfazione, se non quella economica. Sai già che parti avvantaggiato. Clienti rispettati che possono avvalersi di staff di esperti in ogni ramo, che hanno amici nei giornali o tra i politici. Dov’è la tua bravura, a vincere, quando magari hai addirittura la possibilità di far fare le leggi per il tuo assistito? Un bravo avvocato è quello che vince le cause perse, che difende i più deboli, i senza patria e senza diritti, quelli che non conoscono nemmeno la lingua in cui si rivolge loro il giudice e ammettono responsabilità solo perché non hanno capito bene la domanda”. Strofina il bracciale turchese, “regalo di mia madre”, e la memoria va alle prove affrontate anche nei processi politici. Il G8, la Diaz, Bolzaneto: fu una specie di scuola di formazione al disincanto per una generazione di legali democratici genovesi. Ma anche il processo contro Claudio Riolo, intellettuale palermitano dei movimenti antimafia, condannato per le critiche espresse contro l’ex presidente della provincia di Palermo Francesco Musotto. Confisca di un quinto dello stipendio. É stata lei a ottenere una vittoria miliare presso la Corte europea dei diritti dell’uomo in nome del diritto di critica. “Come mi mantengo? Ho un contributo della Cgil, qualche corso di formazione, i gratuiti patrocinii, poche parcelle da chi le può pagare. Non ho molte necessità. Fatta eccezione per Sofia che mi aspetta tutte le sere a casa, vivo sola”. Sofia è la cagna senza razza (“meticcia” dice lei) che gironzola per lo studio ad aumentare la confusione nei momenti di massimo movimento. La lascia solo per i viaggi. Le emergenze dei barconi, ma anche il documentario cinematografico da commentare o il teatro dei detenuti da sostenere. Immigrati anche loro, naturalmente. Anche loro raggiunti a suo tempo dal tam tam rassicurante: chiamate la Ballerini, l’avvocato di Genova con i capelli color leone. Il numero lo troverete su una porta.

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