mercoledì 16 dicembre 2009

Quel sorriso da Joker, dal marxi-cicchittismo al cicchi-berlusconismo

Dal Quotidiano Il Fatto Quotidiano
del 16 dicembre 2009

di Luca Telese
(Giornalista)


Per noi che (a sentir lui) saremmo “un mattinale delle procure” affiliato al “network dell’odio” (di al Qaeda stranamente non ha parlato) è doveroso premettere che Fabrizio Cicchitto (oggi la più frenetica testa d’ariete della falange di attacco berlusconiana) è una persona amabile: il suo inconfondibile sorriso mascellato da Joker è in realtà segnato da una storia politica complessa e dolorosa. In questi giorni lo si vede sempre in tv: speciale Tg1, al Tg2, Tg5, impegnato a spiegare che Tartaglia non è un ragazzo psicolabile, ma un giovane pasdaran prodotto da “una campagna d’odio” (la nostra, pare). Chissà come mai Cicchitto non dice che la famiglia Tartaglia non era girotondina ma, lo dice il padre, craxiana come lui.

Esordi. Il primo a notarlo, questo focoso ragazzo uscito dal turbine del 1968 (“Quando con i fasci ci facevo a botte – sorrideva Cicchi – ma prendendole”) fu il mitico Fortebraccio. Alla penna più affilata del’Unità, il furore ideologico di questo giovane – antiamericano e massimalista – che usciva dal movimento per diventare socialista lombardiano ispirò una definizione divina, che battezzava una nuova corrente ideologica: “Il marxismo-cicchittismo”.

Tessera 2232. “Cicchi” era già come oggi: ardimentoso , intellettualmente spericolato, amante delle parole grosse, un debole per le polemiche. La sua prima vita politica si interruppe drammaticamente ai tempi in cui la corrente lombardiana frequentava il convento delle convertite e lui era uno dei discepoli del vecchio maestro socialista. Erano già uscite le voci sulla sua affiliazione alla P2 e Cicchitto risultava essere intestatario della tessera 2232 (data di iniziazione 12 dicembre 1980). In una riunione drammatica il vecchio Lombardi gli chiese: “E’ vero che sei affiliato?”. Lui, mesto, rispose: “Sì”. Allora Lombardi gettò il suo bastone per terra e lo schiaffeggiò platealmente: “Ammetti tutto. E basta”. Chicchitto ammise (e fu uno dei pochi): “La politica italiana è una guerra per bande – disse – mi sentii isolato, mi iscrissi per cercare protezione”. Raccontò tutto dopo una celebre lettera aperta di Giampiero Mughini (“A un fratello smarrito”). Nell’Italia in cui tutti negavano, questa confessione gli costò 7 lunghi anni di purgatorio. A riabilitarlo fu Bettino Craxi, che nell’ottobre del 1987, da Milano, lo evocò in una assemblea socialista, pur senza nominarlo: “Abbiamo affrontato il problema di un compagno che ammise di essersi iscritto alla P2 e di aver commesso un errore... E’ stato 7 anni ai margini del partito, ci siamo chiesti se era giusto che continuasse così”. Craxi fece una delle sue storiche pause e concluse: “Abbiamo concluso che non era giusto”.

“Progressista berlusconiano”. Tornò con una responsabilità minore, nel settore economico, e quello stesso gusto per la polemica. Si cosparse il capo di cenere e (intervistato da Giuliano Ferrara) giurò: “Non mi associo più nemmeno a una bocciofila”. Poi, amarissimo: “Quando sei in disgrazia quelli a cui hai dato una mano non te lo perdonano”. Raccontò cosa gli aveva detto Craxi: “Devi ricominciare da zero”. Ma una volta tornato in pista ci prese gusto. Amava sparare sul Pci (“Non c’è niente di peggio che il sovversivismo moderato”) e le tv di Berlusconi (“Tv privata? Gli squali attendono”). Riesce a diventare capogruppo del Psi nel 1994, ma di nuovo il mondo gli cade sulla testa (con Tangentopoli il garofano si estingue). Una volta incrocia le lame con Giuliano Ferrara: “Giulianoferraratogliatticraxiberlusconi”, lo battezza. L’Elefantino risponde coniando un feroce acronimo parallelo: “Fabriziocicchittosignorileortolanigelli” (la peggio l’ha avuta lui). Nero Nesi, ex compagno, testimone del drammatico colloquio con Lombardi: “Quando parla della sinistra, lo fa con astio. Sembra un prete spretato”. Lui avvalora: “La sinistra è finita nel ‘92, la casa dei socialisti è nel Pdl”. Pochi ricordano però, che nel 1994, ai tempi della discesa in campo, “Cicchi” si candidò in Puglia. Con il Cavaliere? Macché: contro di lui, con i Progressisti. Ne uscì con amarezza dopo la mancata elezione (aveva davanti Occhetto). Inizia una fase (come racconta il suo compagno di allora, Bobo Craxi) “di carboneria socialista”. Tempi grami e difficili, scampoli di eleggibilità.

Il convertito di Arcore. Così nel 1999, con Margherita Boniver, approda alla corte del Cavaliere, a cui viene presentato da Gianni De Michelis. Scrive articoli, saggi, libri: da quelle parti serve come il pane. Il polemismo è sempre il suo tallone d’Achille. Querela l’Unità per aver citato la via dove abita, dà del “traditore di Craxi” a Claudio Martelli. a Barbara Romano su Libero dice: “Ho fatto due grandi errori, nella vita. Il primo iscrivermi alla P2”. E l’altro? “Corteggiare le ragazze citando Weber, col risultato che quelle scappavano dai palestrati”. Dopo le lezioni del 2008 diventa capogruppo del Pdl a Montecitorio. Purgatorio finito?. Berlusconi grida a Italo Bocchino: “Gli serve un sarto! Portalo da Mazzuoccolo!”. Arriva persino la consacrazione letteraria degli indimenticabili versi che il ministro Bondi gli dedica: “La mia fede/ è la tenerezza dei tuoi sguardi./ La tua fede è nelle parole che cerco”. Malgrado l’idillio è lui il protagonista della rottura con An che precede il Predellino. Lo fischiano al Lirico di Assisi: “Questi stronzi – lo sente gridare al telefonino Francesco Specchia di Libero – mi hanno messo davanti al plotone d’esecuzione”. Di nuovo grida all’imbarbarimento, di nuovo esibisce quel sorriso da Joker triste in tv. E a noi “del network dell’odio”, quel malinconico zelo fa simpatia. Sarà, come dice Bondi, la tenerezza dei suoi sguardi? E’ il cicchi-berlusconismo, bellezza.

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