giovedì 14 gennaio 2010

C’È D’ALEMA AL COPASIR E SI RIPARLA DI BICAMERALE

Dal Quotidiano Il Fatto Quotidiano
del 14 gennaio 2010

di Peter Gomez
(Giornalista)


Come gli piacerebbe che andassero le cose lo ha scritto a chiare lettere sull’ultimo numero di “Formiche”, il mensile liberal-centrista, diretto da Paolo Messa. Secondo Gianni Letta tutte le riforme dovrebbero seguire il modello Copasir, il Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica, che con spirito assolutamente bipartisan, vigila (o meglio dovrebbe vigilare) sull’attività dei nostri 007. Per il sottosegretario alla presidenza del Consiglio la legge sui nuovi servizi segreti del luglio del 2007, i successivi regolamenti e l’attività stessa del Copasir, sono “un esempi da imitare sotto molti profili”, visto che “l’ampio consenso politico ha saputo infatti tradursi in un intervento riformatore di grande portata”. Come dire: se vogliamo davvero cambiare la Costituzione, guardiamo al Copasir che, oltretutto (aggiungiamo noi), da ieri è a un passo dall’essere presieduto da un vero specialista in cambiamenti epocali (mancati). Dopo le dimissioni dal Comitato di Emanuele Fiano (Pd) tutto è pronto per l’arrivo a Palazzo San Macuto di Massimo D’Alema che dovrebbe sedersi sulla poltrona più alta, fino a ieri occupata da Francesco Rutelli.

I giochi sono insomma fatti. Davvero il Copasir si propone, con la benedizione di Letta, come una palestra del dialogo, un po’ come era stata la Commissione bicamerale per le Riforme presieduta, grazie al voto favorevole di Forza Italia, proprio da D’Alema tra il gennaio 1997 e il giugno del 1998.

Come finì allora è storia. Dopo essersi discusso soprattutto di giustizia, i commissari fecero le valigie quando Silvio Berlusconi rovesciò il tavolo: gli stravolgimenti della Carta ideati in Bicamerale erano tati, ma non erano sufficienti per salvare il Cavaliere dai suoi processi.

Come ha fin qui funzionato il Copasir è invece cronaca. Il Comitato che Letta propone come modello, si è occupato (in segreto) di tutto: dal rischio spionaggio dei telefonini tramite software in libera vendita su Internet, fino all’archivio del consulente delle procure Gioacchino Genchi; dalle foto hot di Zappadu a villa La Certosa, ai dossier sull’ex direttore di Avvenire, Dino Boffo, pubblicati da “Il Giornale” , dal crimini informatici, fino agli ospiti dei voli di Stato del premier. Ma, caso Genchi e telefonini a parte, tanto lavoro e tante audizioni, non sono sfociate in risultati concreti. E soprattutto i commissari non sono riusciti a dire una parola chiara sui due grandi scandali che hanno avuto come protagonisti alcuni uomini del vecchio Sismi di Niccolò Pollari: le schedature dei magistrati e dei presunti avversari politici di Berlusconi da parte del braccio destro di Pollari, Pio Pompa; e i rapporti (istituzionali?) tra il controspionaggio e la security Telecom, specializzata in creazione di dossier su migliaia di cittadini. Entrambe le vicende, come è noto, sono state di fatto coperti dal Segreto di Stato firmato dal Cavaliere. E adesso proprio il nuovo Copasir (forse) di D’Alema, dovrà dire se quel provvedimento è stato abnorme o meno.

Le prospettive però non sono delle migliori. “Lo spirito bipartisan” che ha portato alla riforma dei servizi, voluta dal governo Prodi, ha avuto un unico risultato. Piuttosto inquietante per la democrazia. Ha finito per allargare e di molto (al contrario di quanto dichiarato pubblicamente) la sfera del segreto. Per capirlo basta ripercorrere sia i lavori parlamentari che quelli del comitato. Inizialmente la nuova legge prevedeva che il segreto di Stato fosse finalizzato anche “alla tutela degli interessi economico-finanziari strategici per la collettività”. Ma prima che fosse approvata le critiche

spinsero il Parlamento a togliere quella frase dall’articolato, votato nel luglio 2007. Sotto un concetto tant generico poteva infatti finire qualsiasi cosa. Tutto bene insomma? No. Perché senza che nessuno dicesse una parola quello che era uscito dalla porta è poi rientrato dalla finestra. Per legge i criteri da seguire per individuare le materie da coprire con il segreto sono stati stabiliti da un regolamento dell’aprile 2008 della presidenza del Consiglio (ancora Prodi).

Leggendolo l’articolo 3 si ha l’impressione di trovarsi a una disposizione quasi perfetta: i “supremi interessi dello Stato” da tutelare sono l’integrità della Nazione, gli accordi internazionali, l’indipendenza della Repubblica, la difesa delle istituzioni e degli interessi militari. Subito dopo arriva però l’imbroglio. Nell’articolo 5 del regolamento infatti è scritto: “sono suscettibili di essere oggetto di segreto di Stato le informazioni, le notizie, i documenti, gli atti, le attività, i luoghi e le cose attinenti alle materie di riferimento esemplificativamente elencate in allegato”. E qui casca l’asino. Perché al punto uno dell’allegato si parla di “tutela di interessi economici, finanziari, industriali, scientifici, tecnologici, sanitari e ambientali”, senza nemmeno aggiungere che devono esser strategici. Insomma la volontà del legislatore è stata stravolta allegramente (dal governo Prodi) e adesso Silvio Berlusconi, ha campo libero per coprire lo scandalo Telecom con il segreto. Il tutto senza che finora il bipartisan Copasir abbia avuto nulla da eccepire.

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