mercoledì 6 gennaio 2010

Dal Sid a “Gladio” 40 anni di insabbiamenti

Dal Quotidiano Il Fatto Quotidiano
del 6 gennaio 2010

di Vincenzo Vasile
(Giornalista)


Ssssssss… In letteratura, personaggi del potere tratteggiati da Belli, Pirandello, Pavese e Soldati, per imporre il silenzio usano il motto: “Zitti, e mosca!”. Come dire, stiamo fermi e muti, in modo che si possa sentire volare persino una mosca. Nel 1968 sembrava che tutto dovesse cambiare. E annusando l’aria, un esperto come il generale Giovanni De Lorenzo, ex direttore del Sifar, violò a metà l’intimazione: “Io sto zitto finché non crepo. Bisogna stare zitti. Se no cosa facciamo, inguaiamo i governi, inguaiamo i ministri?”. Un altro generale dei Cc, Giovanni Celi coprì il ronzio degli insetti con un consiglio: “In tribunale atteniamoci al segreto militare. Per salvare il salvabile”. Diciannove anni dopo, il presidente della commissione stragi Libero Gualtieri stimò che dietro rimbombava un vulcano di ricatti: “Esistono 15 milioni di fascicoli, centinaia di milioni di fogli. Fogli segreti”. In epoca di galoppante privatizzazione, oggi sono cambiate un po’ le cose: all’ombra della Telecom, era cresciuta, infatti, una nuova centrale di spionaggio. Parallela. Giuliano Tavaroli, l’ex capo della security di Pirelli e Telecom, aveva ai suoi ordini un esercito di 500 dipendenti ed era al centro di un network fuorilegge che secondo i magistrati di Milano formava “una vera e propria ragnatela parallela” in grado di usare “tutti i mezzi concretamente esistenti sul mercato” per raccogliere “qualsiasi tipo di informazione”, violando “i principi costituzionali”. Gli spiati erano Benetton, De Benedetti, Della Valle, Geronzi, Tanzi, ma i “file” illegali sono più di centomila e comprendono anche giornalisti e uomini politici, vicende pubbliche, private e privatissime. Tre anni dopo la magistratura avrebbe voluto guardarci dentro, ma Berlusconi ha opposto il segreto di Stato. Ripercorre un copione antico. Con un paradosso: si perdona e si secreta una montagna di intercettazioni illegali, mentre quelle disposte dalla magistratura rischiano di essere abolite dai progetti legislativi del governo.

Eppure bisogna dire che la pastetta con le barbe finte è bipartisan: la stessa compagnia di giro di spie ha potuto avvalersi, nell’inchiesta-madre sul rapimento dell’imam Abu Omar, del segreto di Stato concesso ripetutamente sia da governi di centrosinistra sia di centrodestra. Ma questa è una storia che possiamo comprendere meglio se sfogliamo le puntate precedenti . Sigillandole con il “segreto politico militare” (denominazione originaria del “segreto di Stato”) proprio il generale De Lorenzo nel 1957 dispose che rimanessero “strettamente occulte” le strutture “di mobilitazione e ausiliarie di antisabotaggio” realizzate “oltre che nei confronti del nemico esterno anche nei confronti del nemico interno”. Fino al 1991 – quando Andreotti si deciderà a parlarne seppure a spizzichi e bocconi - questa materia e quella connessa di Gladio rimarrà secretata. La motivazione ricorrente è sempre stata quella di non scoprire il fianco dell’alleato americano. Ma che c’entra la fedeltà atlantica con l’elenco – parziale – che segue? 1964, arresti e deportazioni di politici di opposizione previsti dal “piano Solo” stilato dal generale De Lorenzo sono derubricati grazie al segreto militare a una specie di innocua esercitazione. 1969, i rapporti dei servizi con terroristi neri protagonisti della strage di Piazza Fontana vengono occultati. 1971, il segreto sulle schedature di massa degli operai Fiat viene opposto da Andreotti. 1976, c’è il no di Aldo Moro agli accertamenti sui fondi Usa passati al Sid per finanziare politici italiani. 1979, Craxi e De Mita sbattono la porta agli inquirenti che vogliono saperne di più sulle triangolazione di armi con l’Olp e con le Br, carte poi solo in parte desecretate da Prodi nel 1998.

1980, Cossiga mette il coperchio sul caso Eni Petronim (petrolio e tangenti), ma quelle carte “segrete” saranno poi ritrovate nell’archivio di Gelli. 1980, Craxi chiude ogni spiraglio sulla scomparsa in Libano dei giornalisti Italo Toni e Graziella De Palo.

Due episodi possono illuminare meglio questa montagna di sabbia. Andreotti e poi Moro per tre volte impediscono, per esempio, che il giudice istruttore di Torino Luciano Violante faccia luce sul “golpe bianco” messo in atto nel 1974 da Edgardo Sogno, beatificato fino alla morte come vittima di accanimento e fieramente reo confesso in una beffarda intervista postuma. Ancora lui, Andreotti sul banco dei testimoni nel 1978 nega che esista il segretissimo “servizio parallelo” di cui ha parlato alla Corte d’assise di Roma un imputato eccellente come il generale Vito Miceli (ex capo del Sifar), che per i dettagli aveva opposto il segreto e rinviato alle “massime autorità dello Stato”. Un ricatto tra spie e governanti di cui sta saltando fuori qualche traccia tra le carte del in corso sulla strage di Brescia. In quegli atti si parla di un Servizio parallelo, denominato “l’Anello”, al diretto servizio del presidente del Consiglio dell’epoca, forse creato proprio da lui. Ma di quel processo non si parla sui giornali. A volte non c’è bisogno del segreto di Stato.

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