martedì 12 gennaio 2010

LEGGE DELLA JUNGLA CAMERUN

Dal Quotidiano Il Fatto Quotidiano
del 12 gennaio 2010

di Mimmo Lamberti
(Giornalista)


Un romanzo di Jonathan Lethem immagina un carcere costruito con i corpi dei detenuti murati nelle pareti. Le galere africane realizzano spesso questo incubo che si realizza nel fatto di non essere mai soli, vivere notte e giorno a contatto fisico con i corpi degli altri e sempre sotto i loro sguardi.

Nella prigione minorile di Bamenda,inCamerun,ungruppodi detenuti mi accoglie danzando sotto gli occhi delle guardie sui ritmi di un inno religioso. Il vicedirettore, in divisa militare, partecipa alla danza per sottolineare la spontaneità dell’evento. Un detenuto, riottoso, riceve uno spintone da uno dei guardiani che, appena mi volto, mi sorride dietro i RayBan neri con 32 denti.

“Quando piove – dice un ragazzo nei dormitori – l’acqua ci cola addosso. Qualcuno che ha cercato di fuggire ha danneggiato il tetto, così siamo costretti a raccogliere l’acqua piovana con i piatti, se no finisce nei letti”.

80 adolescenti, quasi tutti in attesa di giudizio, passano il giorno ammassati come polli in un piccolo cortile annerito dai fuochi della cucina e la notte schiacciati come sardine in un dormitorio che potrebbe accoglierne a stento la metà.

In mezzo ai letti, che formano un continuo appiccicoso di coperte e materassi disposti su due piani, una tv rovescia il tg nazionale sulla testa di un ragazzo febbricitante.

Chi si ribella – dicono voci esterne alla prigione – viene picchiato e vedo che alcuni detenuti sono incatenati.

Quanto li lasciate in queste condizioni?, chiedo al direttore che risponde: “Dipende se nel periodo in cui sono in catene commettono o meno altri errori e da quanto tempo impiegano a capire di aver commesso il primo…”.

“Vedete questo minore?”, dice Gioacchino Catanzaro il cappuccinochemiguidanellavisita:“Per legge non potrebbe stare in carcere e se io lo richiedessi, il direttore me lo lascerebbe portare fuori ma dove lo metto? La direzione collaboravolentiericonnoi,mala galera risale al periodo coloniale e le condizioni dell’edificio rendono la punizione preventiva spropositata rispetto ai crimini”.

Fuori dal carcere Gioacchino mi mostra un garage che i frati vorrebberoristrutturareperoffrireai detenuti uno spazio in cui fare sport e attività formativa.

Dall’alto il vocio che sale assieme al fumo dal cortile del carcere evoca gli inferni affollati disegnati da Dorè, ma, paradossalmente, questi detenuti, quasi tutti accusati di piccoli furti – come un cellulare, un computer o un’autoradio – possono considerarsi fortunati.

Sebbene la pena capitale sia “congelata” da oltre 20 anni, infatti, il furto in Camerun viene punito con la morte del (presunto) colpevole.

Scomparsi dalle foreste, i leoni, gli animali simbolo del paese che ha definito “leoni indomabili” la sua Nazionale di calcio, ruggiscono più che mai nei quartieri popolari di Duala, di Limbe e di altre città.

Basta rubare un sacco di patate o peggio tentare una rapina perché il branco si materializzi dal nulla e inizi una caccia all’uomo che si conclude quasi sempre con la morte del sospetto.

Un filmato girato da un videoamatore racconta uno di questi episodi, quotidiani, di “giustizia popolare”: si vede un uomo in fiamme che rimbalza come una palla di biliardo al centro d’una folla infuriata,finchéqualcunoloabbattecon un calcio.

Pochi minuti dopo la scena è la stessa: le moto che si fermano, ruggiscono e ripartono accanto a una cerchia di sfaccendati che copre di commenti un corpo immobile, fuso assieme ai copertoni o sfigurato dalle pietre.

La “giustizia popolare” detta anche “jungle justice” è annunciata a chiare lettere da cartelli scritti con vernice rossa e appesi all’ingresso dei quartieri. Dicono “ladri attenti: pena di morte!”.

“Uno lo hanno ucciso la settimana scorsa – racconta Philippe Aristide Ngankamm, commerciante – aveva rubato un sacco di patate. Aveva 20 anni”.

Chiedo: Come lo hanno ucciso? Risponde: “Con pietre e bastoni”.

Chiedo: Qualcuno ha provato a fermarli?.

Risponde: “Certo che c’è chi si oppone. Alcuni vorrebbero portare i ladri alla polizia, ma altri vogliono solo abbatterli”.

Alcuni uomini immersi nello smog di uno dei tanti caffè di strada spiegano perché la giustizia popolare non perdona: “Se uno ruba e lo consegnano alle autorità competenti, lo si rivede presto fuori e prendersela con chi lo ha arrestato”.

Chiedo: Ma non vi sembra eccessivo uccidere qualcuno per un sacco di patate?.

Rispondono: “Non è questione di patate o non patate. Se ha rubato ha rubato”.

Chiedo: E nessuno ha cercato di fermare la folla?

“E con cosa dovrei fermali?”, risponde un uomo in moto: “Col mio cazzetto? Quelli si fanno sotto con coltelli e bastoni ! Chi li ferma? Contestano anche la polizia quando arriva”.

“Uno Stato deve assicurare la sicurezza dei beni e delle persone e lo Stato qui non lo fa”, spiega Augustin Mbami, avvocato di successo ed esponente autorevole dell’opposizione: “In molti casi è accaduto che la popolazione arrestassedei banditi e che poi venissero liberati. Così la gente preferisce bruciarli”.

“Se trovo uno di questi banditi lo uccido con le mie mani”, racconta un giovane mentre un barbiere di strada gli strofina la testa tosata.

Chiedo: Che ti hanno fatto?.

Risponde: “Per rubarmi la moto mi hanno passato una corda attorno al collo e mi han tirato giù. Ho passato 6 mesi a casa. Quando ne hanno catturato un altro qui vicino ho partecipato al pestaggio; se non fosse arrivata la polizia l’avremmo ucciso”. Un capannello di curiosi approva battendo le mani.

“Ogni giorno troviamo corpi calcinati”… continua Maitre Augustin Mbami “la gente pensa che lo Stato non la protegga e i banditi sono pronti a uccidere per un cellulare. Recentemente, hanno messo un bimbo in un congelatore per ricattare la famiglia e il bambino è morto. Ovviamente questa non è una ragione sufficiente perché la gente si faccia giustizia da sé.

Questa incapacità dello Stato di garantire la sicurezza è l’altra faccia di una Repubblica a dir poco presidenziale. Governato per 30 anni dallo stesso uomo il Camerun è uno dei pochi paesi africani che abbiano schivato l’incubo dellaguerramachiscendeinpiazza viene pestato come un tamburo come accadde due anni fa a migliaia di dimostranti che protestavano contro il caro vita su un ponte a Duala: ne morirono 140 sotto i colpi della polizia o precipitando in mare travolti dalla folla.

“Le autorità non fanno niente – dice Augustin Mbami – Pensate che qualche anno fa hanno istituito un corpo speciale per combattere la criminalità ed è stato un fiasco totale.

A Bamenda 9 uomini accusati di aver rubato delle bombole di gas sono scomparse e si è scoperto che erano stati giustiziati subito dopo l’arresto. L’ufficiale che comandava l’operazione è stato condannato a 3 anni”.

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