lunedì 4 gennaio 2010

PIZZINI NELLE MUTANDE E STRANE GRAVIDANZE: I “BUCHI” DEL 41 BIS

Dal Quotidiano Il Fatto Quotidiano
del 3 gennaio 2010

di Giuseppe Lo Bianco
(Giornalista)


I“pizzini” tra i cambi della biancheria portati in carcere. I messaggi nelle lettere degli avvocati. I ‘postini’ interni che da un piano all’altro delle carceri veicolano verso l’esterno gli ordini dei boss. E il più fantasioso, nella violazione del 41 bis, è stato proprio Giuseppe Graviano: nell’estate 1997 sua moglie, e quella di suo fratello Filippo, hanno partorito due bambini in una clinica di Nizza, a distanza di un mese l’una dall’altra, nonostante

i mariti fossero detenuti da oltre tre anni in regime di carcere duro. La procura aprì un’inchiesta ipotizzando una fecondazione in provetta realizzata illegalmente, ma l’inchiesta non riuscì ad accertare nulla. Ora che i giudici di Palermo hanno tolto al capomafia di Brancaccio l’obbligo di isolamento diurno lasciandogli più spazi dentro il carcere con un 41 bis di fatto attenuato, magistrati antimafia e funzionari del ministero della Giustizia si interrogano su un sistema che negli anni ha presentato una serie incredibile di falle scoperte da numerose inchieste che hanno portato a galla complicità interne degli agenti di custodia ma anche superficialità, disattenzioni e lassismi nella gestione interna del “carcere duro”. Il consigliori di Riina e Provenzano, Pino Lipari, faceva uscire le istruzioni per gestire il patrimonio occulto dei boss nei ‘pizzini’ nascosti tra canottiere e mutande da lavare consegnate alla moglie; il catanese Giuseppe Garozzo, detto “Pippu u' maritatu” per comunicare dalla sua cella del carcere di Spoleto con il mafioso Salvatore Cappello utilizzava addirittura un computer; e Paolo Iannò, ora pentito di ‘ndrangheta all’interno del carcere de L’Aquila si manteneva in contatto “attraverso un passeggio” con i boss Giuseppe Lezzi, Croce Valanidi, e Filippo Barreca. E Vincenzo Santapaola, fratello del boss Nitto, è riuscito persino a farsi pubblicare una lettera, “dall’eclatante carattere intimidatorio’’, come ha detto Claudio Fava, dal quotidiano “La Sicilia” di Catania. Oggi chi è sottoposto al 41 bis - 588 detenuti in tutto, 79 nuovi nel 2008 - può avere al massimo due colloqui al mese solo con i familiari e conviventi in locali che impediscono il passaggio di oggetti, e i colloqui possono essere registrati. Ma, come dice il procuratore nazionale antimafia Piero Grasso, “non tutti i colloqui con i familiari vengono intercettati” e spesso i messaggi vengono trasmessi attraverso codici criptici, perfettamente decodificati dai familiari. Rinchiusi nelle gabbie dell’aula bunker dell’Ucciardone, a Palermo, i fratelli Brusca riuscivano perfettamente a lanciare messaggi ai familiari ospitati nelle zone riservate al pubblico facendosi capire con il solo sguardo accompagnato da gesti impercettibili ma eloquenti. E se la corrispondenza con i familiari è sottoposta per legge a censura, quella con i propri legali, invece, è, per la Costituzione, inviolabile, costituendo, oggettivamente, un’altra possibile falla del sistema, segnalata tempo fa dal procuratore aggiunto della Dda di Napoli Franco Roberti che ha evidenziato “il rischio concreto che gli avvocati, loro malgrado, vengano individuati come veicoli di informazione dal regime di isolamento verso l’esterno” dal momento che la corrispondenza con i legali dei detenuti non è sottoposta a censura. E se la “socialità’’ è limitata a quattro ore e non può svolgersi in gruppi superiori alle cinque persone il boss calabrese Giuseppe Piromalli la sfruttava per riunirsi e discutere di affari e strategie con altri boss detenuti come lui nel carcere di Tolmezzo col 41 bis. Tra questi, anche un boss del calibro di Antonino Cinà l’uomo del “papello’’, con i quali si confronta, scrivono i magistrati nel decreto di fermo del blitz “Cento anni di storia” dello scorso anno, sullo “speciale regime detentivo di cui all’art. 41 bis contro la cui applicazione le organizzazioni mafiose calabrese e siciliana cercano di fare fronte comune attraverso l’elaborazione di una strategia unitaria”. Anche da un punto di vista normativo: se lo chiede la mafia e si interroga anche la società civile sull’efficacia di una legge che istituendo il 41 bis contemporaneamente lo nega, perché afferma che quando il reo dimostra di aver tagliato i ponti con l’esterno, potrà tornare a carcere normale. “Ma come farà mai il mafioso, ad avere contatti con l’esterno – si chiede Giovanna Maggiani Chelli, vice presidente dell’Associazione dei familiari delle vittime di via dei Georgofili - se il 41 bis è stato sancito proprio perché quei contatti non ci fossero? Ma chi vuole prendere in giro la giustizia di questo Paese?”.

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