giovedì 14 gennaio 2010

ARANCE SENZA SUCCO

Dal Quotidiano Il Fatto Quotidiano
del 14 gennaio 2010

di Daniele Martini
(Giornalista)


Dove scoppierà la prossima Rosarno? C’è una parola brutta che gli esperti agricoli usano con insistenza per spiegare che le ragioni economiche alla base della cosidetta guerra delle arance probabilmente faranno da innesco ad altre battaglie. Il termine è “disaccoppiamento”. Tradotto in soldoni significa questo: per ottenere gli aiuti ad integrazione del reddito dalla Comunità europea, senza i quali l’impresa agricola spesso rischia di finire a gambe all’aria, in particolare nel Mezzogiorno, da qualche tempo non è più necessario produrre o, almeno, far finta di produrre. Basta dimostrare che si possiede un appezzamento e i quattrini arrivano. Tra produzione e proprietà c’è, appunto, un disaccoppiamento, una scissione, un disgiungimento. Una follia? Un incentivo a lasciare le terre incolte? Il colpo finale ad un’agricoltura malata? Sì e no. Di certo il disaccoppiamento è un cambiamento epocale per le campagne italiane, meridionali in primo luogo. Una rivoluzione di cui pochi si sono accorti, ma che ora nel bene e nel male comincia a produrre i suoi effetti.

Rosarno è il frutto avvelenato del cambiamento in atto e quasi sicuramente non resterà isolato. “Non voglio fare laCassandra, oggi è capitato qui, ma tra un po’ capiterà da un’altra parte, è inevitabile”, sostiene senza enfasi e quasi scusandosi per la previsione nera Pietro Molinaro, presidente della Coldiretti calabra, l’organizzazione agricola che con 30 mila iscritti è la più rappresentativa e forte della regione. Con il disaccoppiamento in alcuni casi è più conveniente lasciar marcire i prodotti nei campi o sugli alberi piuttosto che raccoglierli, anche utilizzando i disperati neri a 25 euro al giorno come succedeva a Rosarno, figurarsi poi se si usa manodopera regolare che tra contributi e assicurazioni costa un’ottantina di euro. E se il lavoro agricolo irregolare o regolare serve di meno, le conseguenze sociali, razziali e di ordine pubblico sono facilmente immaginabili, soprattutto in zone povere come Calabria e sud Italia.

In Calabria, in particolare, il disaccoppiamento deciso a livello comunitario nel 2005, è entrato in vigore per le arance da poco e ora si sta sommando agli effetti della concorrenza agricola straniera arrembante, spesso in grado di offrire merci a prezzi incredibilmente bassi, quasi stracciati. Le arance della Piana di Gioia Tauro rimarranno a sciuparsi sui rami perché sono di una qualità particolare, selezionata non per la tavola, ma per la spremitura e la trasformazione, per effetto di una scelta in parte casuale degli agricoltori e in parte a suo tempo ritenuta oculata, effettuata con l’intento di sottrarre il prodotto alle oscillazioni del mercato delle arance fresche, sottoposte ai cambi repentini dei gusti e delle mode dei consumatori. Anni fa pochi potevano prevedere che l’Europa avrebbe scelto il disaccoppiamento e che l’industria locale di trasformazione sarebbe arrivata a ritenere non più convenienti le arance della Piana, perché costano troppo, nonostante l’utilizzo degli schiavi neri, ed è economicamente più vantaggioso far arrivare il succo via nave dal Brasile fino al porto di Gioia Tauro.

Le imprese calabresi che fino all’altr’anno ritiravano il prodotto, per poi ricollocarlo presso i grandi marchi per la lavorazione successiva fino all’aranciata o al succo in bottiglia o nel tetra pak, quest’anno offrono dai 5 ai 7 centesimi al chilo, pur sapendo che i costi sopportati dagli agricoltori sono da 2 a 3 volte maggiori anche con l’uso di manodopera irregolare per la raccolta. Tutto ciò non significa che dagli scaffali dei superrmercati o dai frigo dei bar nel 2010 scomparirà l’aranciata “made in Calabria”.

Sfruttando una legge che non impone l’obbligo di indicare l'origine del succo nelle bevande, le aziende italiane di trasformazione spacceranno più o meno legalmente come made in Italy e in alcuni casi addirittura calabrese doc, aranciate e succhi che di italiano hanno solo l’etichetta. I consumatori probabilmente neanche si accorgeranno del trucco, ma per gli agricoltori è un pugno in faccia e per gli schiavi neri è la condanna certa all’espulsione da parte di chi li ha sfruttati e brutalizzati senza scrupoli per anni e anni.

Le prime avvisaglie dello stravolgimento delle convenienze in atto nelle campagne si sono avute con la raccolta delle olive, subito dopo è toccato alle arance, ma prima o poi la campana suonerà anche per altre produzioni, sia quelle seminate, sia quelle agricole. Nella disattenzione quasi generale, è da questa estate che il mondo agricolo europeo è in fermento, con proteste e manifestazioni che interessano perfino i paesi ricchi da un punto di vista agricolo, dalla Germania alla Francia alla Spagna. Per quanto riguarda l’Italia il disaccoppiamento è solo un po’ rinviato per alcune produzioni tipiche come il pomodoro che, come spiegano gli esperti, fino alla prossima estate resta “accoppiato” (dicono proprio così) al pari delle pere Williams e delle pesche. Poi che succederà? Quando l’Unione europea approvò il disaccoppiamento certo non sapeva che le conseguenze avrebbero potuto essere così devastanti. Come spiega con franchezza Francesco Postorino, direttore del servizio economico Confagricoltura, l’Europa era ossessionata dalle spese crescenti per l’agricoltura e decise di darci un taglio abolendo gli aiuti concessi sulla base delle quantità di prodotti coltivati e sostituendo questo sistema variabile con un meccanismo a cifra fissa. Stabilì che i contributi sarebbero stati erogati indipendentemente dal prodotto coltivato, sulla base della media di aiuti ottenuti per ettaro da ciascun agricoltore nei tre anni precedenti. I legislatori pensavano di prendere più piccioni con una fava: risparmiare quattrini, stroncare gli abusi e nello stesso tempo non incentivare le produzioni in eccedenza (ricordate proprio lo scandalo delle arance distrutte con le ruspe?) favorendo in qualche modo anche le esportazioni dei paesi agricoli in via di sviluppo. Come spesso succede, la via dell’inferno è lastricata di buone intenzioni. Nessuno previde che l’inferno si sarebbe materializzato presto, con una guerra tra bianchi e neri e le barricate nelle strade di un paese in Calabria, sud Italia.

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